Fausto Bertinotti - "Noi siamo il 99%", le risorse del movimento (breve sintesi)

alternative per il socialismo  - n.19 dicembre 2011-gennaio 2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’aria della rivolta non parla solo della possibilità di rompere il recinto, ma è già ricca di costruzioni altre rispetto alla realtà del mercato. Gli annunci che parlano di servizi organizzati sulla produzione dell’uomo per l’uomo, le esperienze di autogoverno di beni comuni, l’affermazione di una ispirazione che guarda alla proprietà comune di servizi e di attività di cura, le pratiche di informazione critica e partecipata da parte di quella che viene chiamata la “generazione digitale”, costituiscono l’arcipelago di una riforma sociale in cammino sulle gambe degli interessati, e che costituisce un fatto politico e di cultura politica di prima grandezza.

Né va trascurato il deposito nei territori, dove si sono impiantati testimoni attivi, dell’onda lunga del movimento dei movimenti e di pratiche imprenditoriali non prioritariamente guidate dall’ottimizzazione del profitto, pratiche alimentate da esperienze di un artigianato moderno, di una messa in comune di nuove competenze e di acquisizioni sperimentali, senza parlare delle più conosciute forme di attività cooperative, di attività di formazione e di educazione costruite sulla non-delega e sul dono, sulla critica alle forme di potere gerarchico.

Ma questa è la stessa aria che abbiamo respirato anche in certi fenomeni politici di fronte alla questione della rappresentanza, quando in essi è stata spezzata la coazione a ripetere della governabilità. E’ stato così quando il vento della partecipazione e della domanda di un autentico cambiamento ha caratterizzato le vittorie elettorali di candidati al governo della città, come Pisapia, De Magistris, Zedda, sindaci che su quel vento hanno puntato. E’ stato così con i referendum sull’acqua come bene comune e contro il nucleare. E’ questa un’esperienza che ci dice il contrario della tesi sulla riformabilità della politica istituzionale dal suo interno. Se il parlamento fosse stato chiamato a pronunciarsi un anno prima sugli stessi temi, esso avrebbe all’80-90% deciso il contrario dell’esito referendario. E’ un esercizio di democrazia diretta che rompe, almeno per quel momento, la coazione del potere costituito a decidere secondo il paradigma mercantile. Appunto.

Rompere il recinto è, come si vede, un’operazione complessa, tutt’altro che una spallata, niente a che vedere neppure con una “semplice” destrutturazione. Rompere il recinto che il potere neoautoritario erige per compiere le scelte di sistema per ricostruire l’accumulazione capitalistica, disfacendo lo stato sociale e riportando il lavoro a merce, è un’impresa sociale, politica e culturale.

La rivolta ci propone il luogo, lo spazio e il tempo in cui questa impresa può maturare e affermarsi. La buona politica è quella che lo capisce e che si mette al servizio di questa impresa. La politica della sinistra, come forza motrice della trasformazione e come espressione elaborata della lotta di classe, capace di incidere sulle decisioni pubbliche, è ad oggi morta. La sua resurrezione, in Europa, è affidata a questa operazione e, dunque, in primo luogo, all’affermazione dell’aria di rivolta e alla sua espansione quantitativa e qualitativa.