Fausto Bertinotti - Ripartire dal salario per ri-rovesciare il conflitto di classe (breve sintesi)

alternative per il socialismo n. 22 - luglio - agosto 2012
 



In questo numero della rivista apriamo un dibattito su una proposta, avanzata da Luciano Gallino, di un’azione diretta del pubblico per creare un milione di posti di lavoro. E se diventasse un dibattito pubblico organizzato in diverse realtà del paese, a partire da quelle di maggiore disoccupazione? E se diventasse un tema di mobilitazione territoriale come, e insieme, a quello dell’acqua-bene comune? Si potrebbero disvelare così, insieme ai mali della recessione, le chimere fuorvianti della crescita e aprire un fronte concreto sul lavoro e sull’occupazione. Andrebbero ripresi per intero i temi delle condizioni di lavoro.

Quello del ripensamento di fondo del rapporto tra il tempo di lavoro e quello della vita alla luce di una disoccupazione di massa, della precarietà diffusa e delle diverse culture che sono emerse nelle nuove generazioni, è incredibile che non susciti più interesse e riflessione. Ma, per esemplificare, tutto questo ragionamento lo concentro qui sul salario. Che il salario sia diventato insufficiente per vivere, che i salari italiani siano diventati tra i più bassi d’Europa, che tutto ciò sia socialmente intollerabile, è acclarato, tanto acclarato da risultare persino insultante visto che alla constatazione non segue alcunché che modifichi la situazione e, neppure, che qualcuno si proponga di farlo. Al massimo si avanza qualche petizione sul fisco.

Penso che sarebbe il caso di aprire, invece, una grande questione salariale, una questione rivendicativa, sociale ed economica. Penso che, per farlo, bisognerebbe prospettare una piattaforma e una mobilitazione generale su una rivendicazione generale e generalizzata. L’uso del termine generalizzato non è casuale, viene proprio dall’allargamento che forze sociali vive, formalmente non coinvolgibili direttamente nello sciopero generale, con le loro esperienze, hanno prodotto in quella classica pratica sociale, mediante il loro diretto ingresso sulla scena. Anche per il salario penso che andrebbe proposta una campagna con questa latitudine: il salario come antica e nuova rivendicazione del conflitto di classe. Un grande obiettivo di redistribuzione, parallelo alla patrimoniale, di fronte alla devastante divaricazione tra ricchi e poveri, tra lavoratori e proprietari, un ‘vincolo interno’ da far crescere per una nuova politica economica e per nuovi rapporti di potere tra le classi.

Un’idea del salario da affermare come una concezione nuova e generalizzata della redistribuzione che va dal salario vero e proprio per gli occupati alla conquista del salario sociale (basic income) per i non occupati, al salario minimo per tutti i precari e quale punto di forza per stanare il nero. La rivendicazione di un aumento generalizzato dei salari e degli stipendi sarebbe il perno di questa nuova alleanza. Se un movimento prendesse corpo su queste basi, sarebbe già un primo superamento nella prassi di una ormai logorata distinzione tra sociale e politico. Potrebbe essere l’inizio di un nuovo ciclo del conflitto di classe, certo non esauribile in una, seppur gigantesca, vertenza. Una vertenza politico-sociale che, del resto, impressiona solo a pensarla. Eppure, sarebbe certo ben fondata sulla concreta realtà sociale del paese. Soltanto lavorare alla sua impostazione sarebbe già un re-inizio. Se ne può discutere?