Carlo Maria Martini - di Fausto Bertinotti

 

Gli Altri - 7 settembre 2012

 

 

 

Ci sono alcuni elementi che colpiscono l’attenzione nell’esodo dal secolo di Carlo Maria Martini. Forse sono elementi utili, se pur non immediatamente significativi, anche a interrogare il rapporto della politica, in particolare della sinistra, con la testimonianza dell’uomo di fede e di Chiesa. La sua uscita dalla dimensione terrena era stata annunciata in forma piana e pur emozionante con una lettera al Corriere della Sera con la quale concludeva l’esperienza di dialogo con i suoi lettori. L’annuncio dava conto dell’impossibilità generata dal corso della malattia di proseguire il lavoro e prospettava per sé il nuovo tempo. “Ora viene il tempo in cui l'età e la malattia mi danno un chiaro segnale che è il momento di ritirarsi maggiormente dalle cose della terra per prepararsi al prossimo avvento del Regno”. E’ come l’individuazione di un tempo sospeso, quello che, nella cultura messianica, viene chiamato “il tempo che resta”. Il commiato dal mondo e dal secolo prende così la forma di una separazione, del resto obbligata, dalle cose terrene per essere riempite dagli interrogativi ultimi sull’esistenza e sulla fede. Anche per gli uomini di fede e di Chiesa ci sono modi diversi di congedarsi dal secolo. Penso alla consegna di Paolo di Tarso: “Ho fatto la giusta battaglia, ho finito la mia corsa, non ho perso la fede”. Il grande costruttore della Chiesa conclude la sua storia con un bilancio pubblico. Martini sceglie un’altra strada. In essa viene dismesso l’orgoglio del bilancio, non si presume di riassumere in una consegna il senso dell’esistenza. Ci si affida per l’interpretazione della testimonianza e della missione sulla terra ai “lettori”, per sé, nel momento del commiato, si sceglie un tempo sospeso, perché possa essere occupato dall’interrogazione profonda sulla fede. Il luogo in cui accede a questo tempo sospeso è quello riservato e sulla porta, che su di esso si apre, c’è scritto solo ‘Padre’, non ‘Cardinale’. Vengono così lasciati fuori anche i paramenti solenni che illustrano il potere conseguito nella Chiesa come istituzione, per operare il ritorno al carattere semplice, e però dominante, della testimonianza di fede. Come nell’uscita dal mondo, anche in questo nominarsi c’è tutto il prevalere della dimensione spirituale su quella secolare, pure così rilevante nella vita che ci si lascia alle spalle. Eppure la relazione tra le due dimensioni è inestricabile, nella missione su questa terra del Cardinale Martini. Essa si è rivelata anche nel suo ultimo atto, quello conclusivo, con il rifiuto di ogni accanimento terapeutico ed è ugualmente significativa che la scelta non abbia destato stupore. E’ stata di fatto l’esito di un uomo di Chiesa che come tale ha condannato l’eutanasia ma contemporaneamente dichiarava di capire chi compiva questa scelta. Era certo la lezione conciliare che così si faceva viva con la capacità di distinguere il peccato dal peccatore. Chi, peccatore, compie la scelta dell’eutanasia è così riconosciuto uomo tra gli uomini nei confronti dei quali il messaggio di amore fraterno chiede pietas e comprensione. Ma c’era qualcosa che va oltre la stessa lezione conciliare. Mi pare di ricordare che il cardinale Martini abbia detto: “La morte è dettata da Dio, ma come morire è scelta dell’uomo”. Martini apriva, dunque, alla polis una problematica, un terreno di azione e di decisione assai diverso da quello supponente che pretende di regolare la vita concreta delle persone su “principi non negoziabili”. Questa apertura sul mondo, come le innumerevoli testimonianze che nella vita di Martini si trovano, sulle questioni culturali, sociali, civili, insomma sulla vita e il destino dell’umanità, consentono di indagare il suo rapporto con la sinistra, ma alla condizione di non semplificare. Ci sono stati e ci sono uomini di Chiesa che permettono per le loro caratteristiche una lettura diretta con le categorie della politica, sinistra destra centro; in altre la ricerca è più difficile e complessa, in questo caso per il primato della dimensione spirituale. Per Martini, dunque, questa ricerca potrebbe sembrare fuorviante o persino inutile. Invece credo non lo sia per una ragione però un po’ singolare. La si può riassumere in una parola, una parola che risulta originale, persino difficile da collocare nella Chiesa, una parola che ci dice parecchio della relazione che il cardinale Martini ha avuto con la sua Chiesa e più in generale con il mondo della fede. Questa parola è dubbio. Una parola altresì difficile da trovare anche nella migliore politica, anche nella sinistra. In entrambi i mondi, la Chiesa, e la politica, questa parola sta a disagio. La fede, sia riposta in una sfera ultramondana che nella realizzazione sulla terra della città futura, sembra pretendersi senza incrinature, senza interrogativi forti. Abbiamo imparato però che è il potere delle grandi istituzioni in realtà a pretenderlo, non la fede. Per questo il dubbio sta a disagio nella Chiesa che conosciamo, come nella sinistra che abbiamo conosciuto. Per l’inesistente sinistra di oggi si dovrebbe fare tutt’altro discorso. In Martini il dubbio si è presentato insieme al dialogo con l’altro. E’ così sempre: il dubbio si manifesta come interrogazione su se stessi, sulla propria fede, sul proprio progetto politico, perciò spinge al dialogo e, nelle fedi forti, è proprio in virtù del dialogo, del confronto critico con l’altro che essa (come il progetto politico forte) vengono arricchiti e confermati. Se si ragiona attorno a questa coppia, dubbio e fede, si capisce perché la sinistra ufficiale in realtà non abbia saputo intrattenere un dialogo pubblico vero e fecondo con una presenza straordinaria come quella di Martini. Lo ha ammirato, ma non ha saputo attivare un dialogo per la crescita di una ricerca condivisa anche nelle dissonanze, una ricerca il cui orizzonte non poteva che essere la liberazione dell’uomo. Non l’ha saputo fare per molte ragioni, la principale delle quali è che la sinistra ufficiale è oggi senza il dubbio perché è senza la fede. Ma c’è un’altra ragione ed è la capacità o meno di resistere all’“aria del tempo”. Martini ne è stato capace, la sinistra ufficiale no. Il cardinale Martini è stato un uomo del Concilio nel tempo in cui la Chiesa ha fatto molto per abbandonare le sue strade, strade su cui potessero camminare insieme credenti e non credenti, quelle in cui si combatte “il più grande peccato dell’umanità, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. Senza collocarsi sul terreno della Chiesa del dissenso, Martini è restato in tutta la sua ricerca e testimonianza fuori dal tempo della conservazione e ha saputo vedere, per contrastarla, “l’ordinaria barbarie” di questo nostro tempo. Indagare il terreno della relazione (o della mancata relazione) della sinistra con la lezione di Carlo Maria Martini è una messa alla prova della capacità di dialogo della sinistra medesima e chiede che la prova del dubbio su di sé abbia il coraggio di andare fino in fondo, cioè di interrogarsi sulle ragioni prime della propria esistenza e sulla esistenza medesima.