Predrag Matvejević - Il Mediterraneo nel nuovo millennio. Fratture e convergenze

alternative per il socialismo n. 17 giugno-luglio 2011

 

 


 

 

Questo contributo è stato scritto dall’autore prima degli eventi accaduti quest’anno nella sponda Sud del Mediterraneo. L’effetto domino, iniziato a Tunisi, poi seguito in Egitto, Libia allargandosi fino al continente asiatico, non era ancora annunciato. Anzi, era molto difficile da prevedere, soprattutto nelle proporzioni che stava per assumere. L’anno scorso, scrivendo la maggior parte di questo saggio, Matvejević voleva però dimostrare fino a che punto il Mediterraneo e l’Europa erano mal preparati per raccogliere una sfida seria, anzi molto meno impegnativa di quella che si sta sviluppando in questi giorni. Da questo punto di vista, il testo risulta ancora oggi di straordinaria attualità.

 

L’immagine che offre il Mediterraneo non è affatto rassicurante. La sua riva settentrionale presenta un ritardo rispetto al Nord Europa, e altrettanto la riva meridionale rispetto a quella europea. Tanto a Nord quanto a Sud, l’insieme del bacino si lega con difficoltà al continente. Non è davvero possibile considerare questo mare come un “insieme” senza tener conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano: oggi in Palestina e in Libano, ieri a Cipro, nel Maghreb, nei Balcani, nell’ex-Jugoslavia, riflessi delle guerre più lontane, quelle in Afghanistan, quelle ancora più vicine - in Iraq e altrove.

Il Mediterraneo conosce ben altri conflitti tra la costa e l’entroterra. L’unione europea è compiuta, fino a qualche tempo fa, senza tenerne conto: è nata un’Europa separata dalla “culla dell’Europa”. Come se una persona si potesse formare dopo essere stata privata della sua infanzia, della sua adolescenza. Le spiegazioni che se ne davano, banali o ripetitive, non riescono a convincere coloro ai quali sono dirette. Non ci credono neanche quelli che le propongono.

I parametri con i quali al Nord si osservano il presente e l’avvenire del Mediterraneo non concordano con quelli del Sud. Le griglie di lettura sono diverse. La costa settentrionale del Mare Interno ha una percezione e una coscienza differenti da quelle della costa che sta di fronte. Ai nostri giorni le rive del Mediterraneo non hanno in comune che le loro insoddisfazioni. Il mare stesso assomiglia sempre di più a una frontiera che si estende dal Levante al Ponente per separare l’Europa dall’Africa e dall’Asia Minore.

Le decisioni relative alla sorte del Mediterraneo sono prese al di fuori di esso o senza di esso: ciò genera frustrazioni e fantasmi. Le manifestazioni di gioia davanti allo spettacolo del Mediterraneo si fanno contenute e fugaci. Le nostalgie si esprimono attraverso le arti e le lettere. Le frammentazioni prevalgono sulle convergenze. Si profila all’orizzonte, da qualche tempo, un pessimismo storico, un “crepuscolarismo” letterario.

Le coscienze mediterranee si allarmano e, ogni tanto, si organizzano. Le loro esigenze hanno suscitato, nel corso degli ultimi decenni, numerosi piani e programmi: le Carte di Atene, di Marsiglia e di Genova, il Piano d’Azione per il Mediterraneo (Pam) e il Piano Blu di Sophia-Antipolis che proietta l’avvenire del Mediterraneo “all’orizzonte del 2025”, le Dichiarazioni di Napoli, Malta, Tunisi, Spalato, Palma di Maiorca, tra le tante, le Conferenze euro-mediterranee di Barcellona, Malta, Palermo, i Forum della società civile a Barcellona, Malta e in ultimo a Napoli (con 1.200 persone da tutti i Paesi mediterranei). Simili sforzi, lodevoli e generosi nelle intenzioni, stimolati o sorretti da commissioni governative o da istituzioni internazionali, non hanno conseguito che risultati limitati.

A cosa serve ribadire, con rassegnazione o con esasperazione, le aggressioni che continua a subire il nostro mare? Nulla tuttavia ci autorizza a farle passare sotto silenzio: degrado ambientale, inquinamenti sordidi, iniziative selvagge, movimenti demografici mal controllati, corruzione nel senso letterale o figurato, mancanza di ordine e scarsità di disciplina, localismi, regionalismi, e quanti altri “ismi” ancora.

 

La paura non basta per una politica ragionata

Il Mediterraneo non è comunque il solo responsabile di questo stato di cose. Le sue migliori tradizioni (quelle che associano l’arte e l’arte di vivere!) si sono opposte invano. Le nozioni di scambio e di solidarietà, di coesione e di “partenariato” devono essere sottoposte a un esame critico. La sola paura dell’immigrazione proveniente dalla costa Sud non basta per determinare una politica ragionata.

Il Mediterraneo si presenta come uno stato di cose, non riesce a diventare un progetto. La costa Sud mantiene le sue riserve, dopo l’esperienza del colonialismo. Entrambe le rive furono molto più importanti sulle carte utilizzate dagli strateghi che non su quelle che dispiegano gli economisti.

Tutto è stato detto su questo “mare primario” diventato uno stretto di mare, sulla sua unità e sulla sua divisione, la sua omogeneità e la sua disparità: da tempo sappiamo che non è né “una realtà a sé stante” e neppure “una costante”: l’insieme mediterraneo è composto da molti sottoinsiemi che sfidano o rifiutano le idee unificatrici. Concezioni storiche o politiche si sostituiscono alle concezioni sociali o culturali, senza arrivare a coincidere o ad armonizzarsi. Le categorie di civiltà o le matrici di evoluzione al Nord e al Sud non si lasciano ridurre ai denominatori comuni. Gli approcci dalla fascia costiera e quelli proposti dall’entroterra si escludono o si contrappongono.

Il Mediterraneo ha affrontato la modernità in ritardo. Non ha conosciuto la laicità lungo tutti i suoi bordi. Per procedere a un esame critico di questi fatti, occorre prima di tutto liberarsi da una zavorra ingombrante. Ciascuna delle coste conosce le proprie contraddizioni, che non cessano di riflettersi sul resto del bacino e su altri spazi, talvolta lontani. La realizzazione di una convivenza in seno ai territori multietnici o plurinazionali, lì dove s’incrociano e si mescolano tra loro culture diverse e religioni differenti, conosce sotto i nostri occhi uno smacco crudele.

Non esiste una sola cultura mediterranea: ce ne sono molte in seno ad un solo Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Né le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le ultime. Il resto è mitologia.

“Elaborare una cultura intermediterranea alternativa”. Mettere in atto un progetto del genere non pare imminente; “condividere una visione differenziata” è meno ambizioso: senza essere sempre più facile da realizzare.

Tanto nei porti quanto al largo “le vecchie funi sommerse”, che la poesia si propone di ritrovare e di riannodare, spesso sono state rotte o strappate dall’intolleranza o dall’ignoranza. Questo vasto anfiteatro per molto tempo ha visto sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti dei suoi attori sono talvolta noti e prevedibili. In compenso, il suo genio ha saputo in ogni epoca riaffermare la sua creatività a nessun’altra uguale.

Occorre perciò ripensare le nozioni superate di periferia e di centro, gli antichi rapporti di distanza e di prossimità, i significati dei tagli e degli inglobamenti, le relazioni delle simmetrie a fronte delle asimmetrie. Non basta più osservare queste cose unicamente in una scala di proporzioni o sotto un aspetto dimensionale: possono essere considerate anche in termini di valori. Certe concezioni euclidee della geometria hanno bisogno di essere superate. Le forme di retorica e di narrazione, di politica e di dialettica, invenzioni del genio mediterraneo, sono state adoperate per troppo tempo e talvolta appaiono logore.

«Il Mediterraneo esiste al di là del nostro immaginario?» ci si domanda al Sud come al Nord, a Ponente come a Levante. Eppure esistono modi di essere e maniere di vivere comuni o avvicinabili, a dispetto delle scissioni e dei conflitti che vive o subisce questa parte del mondo.

Percepire il Mediterraneo partendo solamente dal suo passato rimane un’abitudine tenace, tanto sul litorale quanto nell’entroterra. La “patria dei miti” ha sofferto delle mitologie che essa stessa ha generato o che altri hanno nutrito. Questo spazio ricco di storia è stato vittima degli storicismi. La tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa si perpetua: l’immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo reale non s’identificano affatto. Un’identità dell’essere, amplificandosi, eclissa o respinge un’identità del fare, mal definita. La retrospettiva continua ad avere la meglio sulla prospettiva. Ed è così che lo stesso pensiero rimane prigioniero degli stereotipi.

 

(traduzione di Silvio Ferrari)