Roberto Saviano - Acerra, rifiuti e business. Ma anche un esempio di diffidenza verso la politica

alternative per il socialismo n. 3 - settembre-ottobre 2007

 

 

 

 

Acerra sembra vivere un incubo ambientale degno delle peggiori distopie di Philip K. Dick o dei racconti di Lovecraft. Nello spazio di pochi chilometri si concentrano infatti una molteplicità di strutture che inquinano l’ambiente rendendo il particolato atmosferico carico di veleni. Le proteste attualmente si orientato completamente nella battaglia contro l’inceneritore, ma per bizzarro paradosso i manifestanti potrebbero trovarsi in una situazione tale che pur combattendo il termovalorizzatore acerrano le condizioni ambientali del territorio non miglioreranno affatto proprio perché si sono ignorate le cause prioritarie dell’inquinamento. La Montefibre nel corso degli anni di massima produzione è stata responsabile del deterioramento progressivo e continuo dei prodotti agricoli acerrani causando un netto impoverimento di una attività che era fiore all’occhiello dell’entroterra campano.

Già nel 1987 un decreto del ministero dell’Ambiente definiva Acerra territorio ad alto rischio ambientale con elevati tassi di inquinamento, recentemente l’Anpa e l’Arpac hanno confermato i dati circa la pericolosità dell’inquinamento atmosferico sulla salute pubblica, infatti l’Asl 4 di Napoli rileva che in controtendenza rispetto all’andamento nazionale vi è un notevole aumento di leucemie e linfomi unitamente ad altre malattie degenerative. Le fonti principali di questa pestilenza ambientale sono le industrie inquinanti: Montefibre (soprattutto in passato) e cementifici da aggiungere una quantità elevata di discariche abusive dove il clan dei casalesi smaltisce rifiuti tossici. Oltre al danno ambientale v’è anche il danno economico-sociale poiché l’abusivismo edilizio di matrice camorristica del territorio dei Regi Lagni ha inquinato le acque superficiali e profonde, tanto da spingere il comune a emanare un’ordinanza sindacale per la chiusura di alcuni pozzi per l’irrigazione dei campi, creando danni enormi alle attività agricole dell’intera area. Questo malgrado l’agro acerrano viene definito dal D.p.s.e. della provincia di Napoli del dicembre 2000 ai sensi del dlgs 267/2000 “territorio che per la natura favorevole dei suoli e abbondanza di acqua svolge un importante e fondamentale ruolo nella produzione agricola, soprattutto nei settori orticoli e seminativi oltre a rivestire un importante fattore di equilibrio dell’ecosistema territoriale”.

 

Cementifici e non solo

La battaglia ai cementifici nel corso degli anni è stata praticamente inesistente eppure i cementifici sono responsabili secondo uno studio dell’Enea del 13,5% su un totale di 14,2% dell’inquinamento ambientale della zona acerrana. La polvere dei cementifici può provocare sulle piante delle incrostazioni che interferiscono con il processo di fotosintesi, in quanto intercettano la radiazione solare, inoltre possono provocare aggravamenti di malattie asmatiche, aumento di tosse e persino convulsioni, oltre agli effetti tossici diretti sui bronchi e sugli alveoli polmonari. Studi scientifici accertati rintracciabili in qualsiasi dipartimento universitario di medicina e chirurgia dimostrano che le polveri di cemento generano la silicosi.

Come sovente accade nella gestione dell’amministrazione pubblica meridionale v’è una incapacità di valutazione generale dei problemi. I cementifici, il termovalorizzatore, la Montefibre, le discariche, non vengono messi in relazione tra loro, pur incidendo tutti sul medesimo ambiente, ma risultano prese in considerazione singolarmente come se l’attività inquinante si frammentasse suddividendosi nei polmoni degli sventurati acerrani come nei documenti burocratici. In tal senso si aggiunge sul territorio acerrano un ulteriore pericolo imminente quello della costruzione di una centrale termoelettrica. In Campania ci sono tre centrali (Orta di Atella, Teverola e vicino Salerno) già autorizzate e altre sei in attesa di autorizzazione fra cui quella di Acerra, appaltata dall’Edison. È una centrale tra le più grandi che produrrà 800 megawatt. A maggio la regione Campania ha dato il suo placet per centrali sopra i 400 malgrado l’Enea avesse fornito idee, progetti e studi per sfruttare sole e vento. Così in realtà la Regione risolverebbe il problema della dipendenza dall’energia ma al contempo inizierà a dipendere dall’importazione di gas che alimenta le centrali. Inoltre la produzione sarebbe chiaramente superiore al fabbisogno.

Al di là quindi delle singole questioni bisognerà guardare il territorio acerrano nella complessità delle sue fonti inquinanti e solo dalla somma di queste approntare un vero piano contro l’inquinamento. E intanto il territorio muore, si affligge malato. Gli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione mondiale della sanità riguardo la Campania sono incredibili, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale. E le donne sono le più colpite.

V’è un dato, però uno in particolare che lascia la bocca senza saliva. L’80% delle malformazioni fetali in più rispetto alla media nazionale. È un dato che prende allo stomaco, che quando lo ascoltano le madri è come se maledissero di aver concepito il bambino nella loro terra, si vorrebbe scappare, tornare indietro. La storia dei rifiuti potrebbe essere fatta attraverso le biografie dei malati di cancro, attraverso i territori dell’entroterra che prima coltivavano ora raccolgono rifiuti d’ogni genere. Napoli e la Campania si gonfiano di tonnellate di spazzatura ciclicamente e ciclicamente nessuno sembra comprendere cosa accade, se non una generica e cronica incapacità politica a gestire il problema. Resta certo l’odore, i cumuli, le scuole chiuse, la rabbia negli stomaci. È un odore strano da sentire in città, chi viene dalla provincia casertana e nolana lo conosce benissimo però. All’inizio è un tanfo di marcio che somiglia al pesce putrefatto, poi muta in un sapore orrendo come una somma di tutti gli odori peggiori esistenti, un’addizione di tutto ciò che si decompone, marcisce, va in putrefazione.

 

Camorra e spazzatura

Non esiste soluzione di continuità tra i rifiuti e la camorra. Non esiste un momento in cui le amministrazioni sono riuscite a interrompere il rapporto e a trovare soluzione. Non c’è stato un momento in cui i rifiuti hanno smesso di essere per gran parte degli imprenditori che vi si tuffavano dentro con tre soli obiettivi come si evince in un’intercettazione di un imprenditore dei rifiuti del clan Fabbrocino: “business, business, business”. Neanche per un momento negli ultimi vent’anni. Negli anni Novanta, Nunzio Perrella, ex uomo del clan Puccinelli, un sodalizio noto per i traffici di cocaina, fu uno dei primi che sbaragliò le indagini, e quando decise di pentirsi la prima cosa che disse ai pm fu:«Dottore, ma quella la munnezza è oro». Iniziò a raccontare di un business capace di mettere in ombra quello della cocaina. I giudici non gli credevano temendo volesse occultare il narcotraffico ma Perrella iniziò a raccontare dei veri maestri della spazzatura, i principi del traffico dei rifiuti il clan dei Casalesi, il sodalizio di Francesco Sandokan Schiavone, Francesco Bidognetti “Cicciotto di Mezzanotte”, che assieme ai La Torre di Mondragone e i Mallardo di Giugliano rappresentano forse il polo imprenditoriale circa la raccolta e lo smaltimento rifiuti ordinari e speciali più organizzato e potente d’Italia. Ovviamente il loro potere risiede nei capitali e nelle società che muovono attraverso personaggi dei consorzi, imprenditori, consulenti. Una rete di discariche, cave, camion, finanziamenti pubblici e rapporti tra privati che è determinata da una borghesia imprenditoriale capace di gestire la salute di milioni di persone e di fatturare capitali elevatissimi riuscendo a influenzare amministrazioni politiche e finanziamenti pubblici.

Il vero ministro dei rifiuti della camorra oggi è Antonio Iovine detto “O’ ninno”, ossia il poppante. Soprannome dovuto al suo viso di ragazzino che aveva quando divenne molto presto dirigente del gruppo criminale. Antonio Iovine latitante da dieci anni, capoclan di San Cipriano d’Aversa, ma con la capacità di muoversi su Roma, ormai seconda città dei Casalesi, e all’estero. Nessuna decisione riguardo i rifiuti non passa per le sue valutazioni e decisioni. L’unico vero personaggio con poteri straordinari è lui: O’ Ninno. La scelta di trafficare in rifiuti espone a minori rischi di natura penale, poiché i reati connessi alla raccolta, al trasporto e allo smaltimento illegali dei rifiuti spesso sono soggetti a prescrizione.

I rifiuti sono la merce. La merce morta vale più di quella viva. Come le pompe funebri, i clan sanno benissimo che non ci sarà mai crisi. Si consumeranno cose e persone. Spazzatura e morti non mancheranno e divengono basi certe per poter essere usate queste forze produttive per poi osare in altri campi meno certi e sicuri. Il meccanismo dei rifiuti permette a ogni passaggio di guadagnare. I clan che hanno i camion, i bobcat, le discariche. Guadagnano quando raccolgono, guadagnano quando sversano e fanno sversare nelle loro discariche. Ma da questo guadagno ne hanno ricavato vantaggio le maggiori imprese italiane, negli ultimi trent’anni le discariche campane sono state riempite, le cave rese satolle, ogni possibile spazio utilizzato, la spazzatura di Napoli, non è la spazzatura di Napoli. Le discariche campane non sono state intasate solo dai rifiuti solidi urbani campani, ma sono state occupate, afflitte, colmate dai rifiuti speciali e non di tutto il paese, dislocati dalle rotte gestite dei clan. La spazzatura napoletana appartiene all’intero paese nella misura in cui per più di trent’anni rifiuti speciali e non, tossici, ospedalieri, persino le ossa dei morti delle terre cimiteriali, sono stati smaltiti in Campania e più in generale nel Mezzogiorno.

 

Un traffico tossico

L’Operazione Houdini del 2004 ha dimostrato che il costo di mercato per smaltire correttamente i rifiuti tossici impone prezzi che vanno dai 21 centesimi a 62 centesimi al chilo. I clan forniscono lo stesso servizio a 9 o 10 centesimi al chilo.

I clan di camorra sono riusciti a garantire che 800 tonnellate di terre contaminate da idrocarburi, proprietà di una azienda chimica, fossero trattate al prezzo di 25 centesimi al chilo, trasporto compreso. Un risparmio dell’80% sui prezzi ordinari. Se i rifiuti illegali gestiti dai clan fossero accorpati, diverrebbero una montagna di 14.600 metri con una base di tre ettari. Questa montagna di rifiuti sarebbe la più grande montagna esistente non solo in Italia ma sulla Terra.

I traffici di rifiuti tossici hanno visto il Sud Italia essere il vero luogo dove far ammortizzare i prezzi elevati dello smaltimento. La camorra ha fatto risparmiare capitali astronomici alle imprese del Nord Italia che avevano necessità di smaltire a basso costo i propri rifiuti speciali. Secondo le procure di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere, diciottomila tonnellate di rifiuti tossici partiti da Brescia sono stati smaltiti tra Napoli e Caserta negli ultimi anni. In quattro anni un milione di tonnellate sono tutte finite a Santa Maria Capua Vetere. I rifiuti trattati negli impianti di Milano, Pavia e Pisa sono stati sotterrati in Campania.

L’Inchiesta “Madre Terra” scoprì che in soli quaranta giorni oltre 6.500 tonnellate di rifiuti dalla Lombardia giunsero a Trentola Ducenta, vicino a Caserta. 500 tonnellate solo da Milano.

Le battaglie politiche ad Acerra divengono fondamentali non soltanto per la questione dell’inceneritore ma per mostrare la mutazione che il meccanismo dei rifiuti ha fatto su un territorio la cui capacità di esportazione di prodotti agricoli era tra le maggiori del Sud Italia. L’agricoltura di qualità era una sorta di miniera. In grado di far giungere mele annurche e verdure nel Nord Europa.

Lentamente, tutto muta. Gli alberi marciscono, i polmoni dei coltivatori si anneriscono, le terre non valgono nulla. O quasi. Ora ciò che permette di generare rendite sicure e cospicue non sono le terre coltivate, non sono le aziende manifatturiere, non è la pastorizia ormai marcia di diossina. Sono i terreni dove vengono smaltite le ecoballe in attesa di venire bruciate, ma si è scoperto che non sono state impacchettate a norma, quindi queste ecoballe non potranno mai più essere smaltite, posto che ci vorrebbe un quarto di secolo per tentare di farlo, e con l’impossibilità di bruciale il meccanismo in cui hanno investito quasi tutti i clan della provincia napoletana e casertana si scopre vincente perché fittare terreni per le ecoballe sarà una risorsa continua e costante. Non si smaltiranno mai le ecoballe e lo Stato continuerà a pagare il fitto delle terre senza limite.

In alcuni casi - come numerosissime informative di polizia giudiziaria mostrano - questi beni sono stati acquistati pochi giorni prima delle locazioni a prezzi di gran lunga inferiori rispetto al mercato. Il meccanismo era semplice: appena si sapeva dove avrebbero voluto far stoccare le ecoballe, intermediari si presentavano dai proprietari dei terreni, spesso piccoli proprietari e compravano i loro moggi. Il meccanismo di acquisto prediligeva i proprietari malati di cancro, erano i più ambiti dai mediatori, perché erano quelli che avevano bisogno di soldi e subito. Lo stesso valeva per i proprietari con figlie da sposare, debiti da saldare.

Insomma, ogni forma di necessità diveniva un elemento di forza con cui poter comprare a basso costo. Nelle campagne, vendere ai mediatori del business dei rifiuti è divenuta una specie di liquidazione per i coltivatori diretti che ormai vedono le proprie pesche o mele annurche puzzare di fogna. Le locazioni le ha fatte la Fibe che è una società privata che ha di fatto la gestione dell’intero ciclo dei rifiuti, il contratto con la Fibe è stato fatto dalla precedente giunta regionale Rastrelli. Oggi sulla Fibe ci sono indagini della procura e sono imputati i vertici della società.

 

Affari & politica

La politica quando tocca gli affari sui rifiuti sembra non avere più perimetri e confini e centrodestra e centrosinistra sembrano uniformarsi nei discorsi, nelle scelte, nelle politiche non riuscendo più a distinguere le sedimentazioni di scelte e provvedimenti. In Campania, la criminalità organizzata ha speculato sui terreni acquistati per realizzare impianti di stoccaggio provvisorio. Gli affari sono quantificati in 800 milioni di euro ed è il fatturato delle imprese dei clan per i rifiuti urbani in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia mentre è di un miliardo di euro di gestione della struttura emergenziale in Campania. Questo escludendo i traffici illegali di rifiuti tossici, ma valutando solo affari riguardo i rifiuti solidi murbani e soprattutto il ciclo legale.

Diossina, mercurio e amianto viaggiavano dal Nord ad Acerra: a smaltirli ci pensava un’impresa che usava le sostanze tossiche come fertilizzante agricolo. Tutti i rifiuti che arrivavano al “Gruppo Pellini” passavano per gli impianti solo virtualmente.

Sui documenti, sulle carte aziendali comparivano. In realtà, però, amianto, mnichel, mercurio e ogni altro tipo di scorie tossiche prendevano tutt’altra strada: quella che porta alle terre coltivate che un tempo erano il vanto di Acerra, e che oggi custodiscono veleni. Funzionava così: i rifiuti liquidi venivano versati direttamente nei Regi Lagni. Altri quantitativi di rifiuti, altamente tossici, alcuni dei quali contenenti diossina e considerati cancerogeni, venivano miscelati con materiale organico per essere poi utilizzati come compost, fertilizzante, per concimare terreni. Finiva sottoterra di tutto. I carabinieri hanno trovato persino una cinquantina di tubi impregnati di gas, che venivano fatti bruciare con la benzina dopo essere stati spezzati in tre parti. Per considerare il danno ambientale che queste operazioni hanno prodotto ad Acerra basterà dire che i rifiuti gestiti negli ultimi tre anni ammontano a circa un milione di tonnellate.

Nello smaltire i rifiuti tossici nell’azienda acerrana, lo dimostra un episodio che risale all’agosto scorso: dalle indagini dei carabinieri è emerso che alcuni indagati, per disfarsi di pezzi di una vecchia condotta di metano, ricorsero a un metodo particolare. Dopo aver ridotto a pezzi i tubi in una vecchia discarica di Parete, nel Casertano li riportarono ad Acerra dove vennero dati alle fiamme. I resti della condotta vennero infine triturati e mescolati ad altri fanghi industriali per essere poi venduti come composti per l’agricoltura. Era veleno.

In questa terra l’inceneritore proposto come soluzione ai problemi infiniti dei rifiuti napoletani diviene un ennesimo elemento che mostra il destino troppo spesso funesto di questa terra. La camorra ha certamente soffiato sulla protesta ma non ne è mai stata la vera anima. Dinanzi alle rassicurazioni delle istituzioni che parlano di un progetto a norma europea, dinanzi alle certezze che le amministrazioni locali dichiarano, chi può garantire cosa verrà bruciato nei forni degli inceneritori? Un luogo dove si è intombato, bruciato, avvelenato.

Perché credere ancora? Dopo che si è diffusa la peste del cancro senza che si facesse nulla? Le motivazioni dei picchetti, del blocco dei binari, nascono da questo sconforto. Lo sconforto di chi intorno vede una notte di cui difficilmente si intravede la fine. Acerra diviene l’emblema di un territorio rigoglioso di energie ma profondamente diffidente, diffidente verso i meccanismi di potere. Luogo da cui ripartire per comprendere non più solo il Mezzogiorno italiano, ma l’intero paese.